Il virus più pericoloso? L'ignoranza

di Alessandra Cappelletti pubblicato il 24/02/20

La vicenda coronavirus in Italia denota una profonda ignoranza – da parte di politici, giornalisti, analisti... – rispetto a un paese come la Cina. Volenti o nolenti, ce l’abbiamo sempre più vicina, ma questo a quanto pare non costituisce ancora una motivazione sufficiente per informarsi e iniziare a conoscerla.


Quello che è successo, e ancora sta succedendo, a Wuhan e nella provincia dello Hubei (attenzione, a Wuhan e nello Hubei, non «in Cina») non è causato da un virus. Il Covid-19 infatti, se preso nella sua forma grave, è molto infettivo e potenzialmente letale per chi ha un quadro clinico già compromesso, ma sicuramente non è il responsabile diretto delle migliaia di morti nella provincia della Cina centrale chiamata Hubei, tradotto letteralmente: a nord del lago”, il lago Dongting.


La causa di ciò che sta succedendo nelo Hubei risiede in tre fattori principali: il sistema sanitario cinese; la densità di popolazione; i meccanismi decisionali all’interno del Partito comunista cinese (Pcc).


Tra privatizzazioni e medicina tradizionale

Fattore numero uno: la sanità. La Cina è nota per la sua medicina, che in italiano chiamiamo “medicina tradizionale”, in cinese si chiama Zhongyi, medicina cinese. La medicina cinese si basa su un paradigma completamente diverso da quella occidentale, poiché ha il suo perno nella prevenzione, e, per alcune patologie, fa leva sul riequilibrio di elementi vitali che sono entrati in sofferenza per una serie di motivi legati a stile di vita, alimentazione, capacità di prendersi cura di se stessi, soprattutto dal punto di vista psicologico. Attraverso medicinali creati con elementi vegetali, animali e minerali, nonché pratiche quali agopuntura, massaggio tuina, moxicombustione, etc etc, la medicina cinese va praticata con costanza perché poco invasiva e dai ritmi lenti, e fa parte della vita quotidiana di molti cinesi, il cui approccio alla salute rimane ancora volto alla prevenzione, e non alla cura dei sintomi. Il rafforzamento del sistema immunitario e l’equilibrio interiore sono due obiettivi cardine della medicina cinese, che, ripeto, non cura i sintomi ma cerca di agire sugli squilibri che sono all’origine delle patologie. Esempio: per le patologie dell’apparato endocrinologico, può funzionare benissimo.


Il boom dell’economia cinese è recente, e ha portato il paese su una strada che, possiamo ragionevolmente dire, vorrebbe avvicinare, se non far combaciare, alcuni aspetti della società cinese a quella occidentale. Il sistema sanitario cinese, al momento, è strutturato lungo due filoni principali: medicina cinese e medicina occidentale.


La medicina occidentale, come noi sappiamo, richiede investimenti ingenti, nonché la formazione di conoscenza. Negli ultimi 30 anni le autorità cinesi hanno investito molto in educazione, innovazione, sviluppo industriale etc. etc., mentre sulla medicina occidentale si sono mossi più lentamente. Che dire, in politica vanno fatte delle scelte, e l’approccio gradualista a volte è necessario. La medicina occidentale in Cina è dunque rimasta un po’ indietro. Questo non significa che non si trovano medicine oppure ospedali che la praticano, anzi, ora abbondano ovunque, ma per operare in modo veramente efficace, soprattutto in presenza di patologie nuove, c’è bisogno ancora di tempo e investimenti.


La densità di popolazione di Wuhan

Veniamo dunque all’attualità. E andiamo a controllare un po’ i dati. A oggi, 24 febbraio 2020, 9.30 di mattina, orario cinese, in tutta la Cina (circa un miliardo e 400 milioni di persone), ci sono 51.306 persone a cui è stato diagnosticato il coronavirus, non decedute né curate, quindi sono in cura o in quarantena, se i sintomi sono lievi. 46.395 sono nello Hubei. 4911 sono nel resto del paese. I decessi per coronavirus, in tutto il paese, sono 2.462., tra i quali 2.346 nella provincia dello Hubei, 116 fuori. Questi semplici dati fanno pensare. Perché nella provincia del Jiangsu, con più di 80 milioni di residenti, su 631 casi di infezione totali, 427 sono già stati curati, e non c’è stato ancora alcun decesso? Non stiamo parlando di un’area lontana dall’epicentro del contagio, ma che si trova a circa 500 km di distanza. Dove sono i decessi in Cina, fuori dallo Hubei? 6 persone nella provincia costiera del Guangdong, 115 milioni di abitanti; uno nel Zhejiang, provincia dove si trova la città di Wenzhou (da cui proviene la maggioranza dei cinesi residenti in Italia), quasi 60 milioni di abitanti; 4 nello Shandong, più di 100 milioni di abitanti; 6 nella provincia interna dello Anhui, 62 milioni di abitanti....e via dicendo. Dunque, leggendo questi dati, la domanda è: cosa è successo nello Hubei che ha reso così drammatica la situazione in questa provincia?


Sistema sanitario debole, personale medico-sanitario non preparato, alta densità di popolazione, attitudine negativa di gran parte dei cinesi rispetto alle cure ospedaliere e periodo di picco influenzale sono fattori che, se combinati, producono un quadro pericolosissimo. Molti cinesi non sono abituati a farsi curare in ospedale perché senza un’assicurazione adeguata le cure mediche, in Cina, sono molto costose. Quindi molti si sono auto-curati, e non hanno fatto attenzione al grado di infettività di questo virus. Inoltre, vogliamo considerare anche le realtà rurali e i villaggi di montagna, dove le strutture sanitarie sono praticamente inesistenti? Nello Hubei si è scatenato il caos. Il fattore numero due, la densità di popolazione a Wuhan, città con 12 milioni di abitanti, ha agito come sale nella piaga. E ha colpito questa metropoli in modo particolarmente duro.


Le direttive del Partito si bloccano nelle province

Il fattore tre, i meccanismi decisionali all’interno del Partito Comunista Cinese, ha rallentato la macchina informativa all’inizio dell’epidemia, che a quanto pare si colloca nella prima metà di dicembre. Lanciare un allarme in una città di 12 milioni di abitanti, e in un paese di un miliardo e 400 milioni di persone, può produrre risultati pericolosi: la popolazione può lasciarsi prendere dal panico e scappare dall’area colpita (quelli che hanno potuto lo hanno fatto) per evitare le quarantene, mettendo in pericolo altre persone. Un annuncio del tipo «siamo di fronte a un’epidemia causata da un virus nuovo potenzialmente mortale che in pochi giorni ha causato decine di migliaia di infezioni», richiede uno sforzo orchestrato di autorità locali e nazionali, nonché il dispiegamento di forze per gestire la popolazione, in questo caso è stato mobilitato l’Esercito popolare di liberazione.


È stato il discorso di Xi Jinping del 20 gennaio 2020 a dare il via all’allarme generale. Il 23 gennaio Wuhan era una città in quarantena. Nel frattempo si erano tenuti eventi quali un banchetto con 40 mila persone per raggiungere uno dei tanti primati del Guinness. Diciamo che quel ritardo di più di un mese, per quanto per alcuni aspetti comprensibile, ha dato il colpo finale alla vivace città del centro della Cina, mettendola temporaneamente in ginocchio.

Andiamo ora nel mondo: il maggiore numero di contagi si registra in Corea del Sud. Al momento 576 infezioni confermate (non deceduti e non curati), 6 deceduti e 18 curati. L’Italia è al secondo posto: 229 infezioni, 6 decessi, 2 curati. Poi Giappone: 124 infezioni confermate, un decesso, 22 curati.


Se i dati sono veritieri, fuori dallo Hubei il virus si può rivelare fatale solo per chi ha condizioni di salute già compromesse. Nello Hubei purtroppo no. Scarseggiano antipiretici e gli sforzi sono tutti volti a diminuire il contagio, quindi chi è contagiato e non può andare in ospedale (perché gli ospedali sono pieni e al momento anche veicolo di infezione) può morire in casa semplicemente per una febbre. Certo, un vero dramma, che in Cina si sta affrontando con grande coraggio e senso di responsabilità.


Domanda di molti: perché sono stati proprio i cinesi a preoccuparsi per primi e a chiudere in casa milioni di persone, fermando ogni attività umana a parte quelle di base? Oggi a Suzhou - città di 12 milioni di abitanti con 87 contagi totali, di cui 50 già curati, senza decessi – rimangono aperti, con orari ridotti ed entrate razionate, solo supermercati e farmacie. Quindi...perché tutto questo allarme da parte dei cinesi stessi? Perché le autorità locali cinesi sanno benissimo che un contagio diffuso qui è ingestibile: gli ospedali non sono attrezzati, il materiale protettivo e le medicine potrebbero non essere sufficienti. Quindi, stare in casa, evitare i luoghi affollati, seguire le varie raccomandazioni relative a mascherina e igiene, e aspettare che il virus decida di tornare da dove è venuto, è per il momento la soluzione più saggia. E lo è anche per l’Italia, vista la rapidità nella diffusione del contagio, per proteggersi, per proteggere gli altri, e per non mettere sotto pressione il sistema sanitario, che deve essere ben funzionante per i casi più complessi.


Se i dati sono veritieri, parlano chiaro: la medicina occidentale in Cina non può ancora avvalersi di un sistema sanitario solido, e a Wuhan non ha retto i colpi del coronavirus. L’Italia non ha nulla da temere. Saranno i soggetti deboli – purtroppo – a essere sopraffatti. Ma parlare di potenziale pandemia che metterebbe a rischio l’umanità intera non è credibile, così come puntare il dito verso potenziali responsabili. I virus ci sono sempre stati e ci saranno sempre, e verranno fuori, come hanno sempre fatto, da qualsiasi paese nel mondo. Non dimentichiamo che l’influenza suina scoppiata nel 2009 produsse intorno alle 200 mila vittime, e partì dalla California e dal Messico. Non sarà il coronavirus a cancellarci dalla faccia della terra, sull’umanità gravano ben altre minacce. In primis, il virus dell’ignoranza.